Museo della Famiglia Contadina | Chiesa di San Nicolò

Indirizzo Via Principe Amedeo, 26, 14048 Montaldo Scarampi AT, Italia
Tel 0141 953113
Fax 0141 952188
Email protocollo@comune.montaldoscarampi.at.it

In breve

Il museo è ospitato nella Chiesa di San Nicolò (o dei Battuti).

In esposizione importanti testimonianze della vita contadina di un tempo.


• La storia dell'edificio (redatta da Anna Mainardi Scarampi)

La copia di una mappa del 1764 ci mostra la planimetria del castello di Montaldo Scarampi e la cinta muraria che cingeva l'abitato alla sommità del colle (Montis altus). Il "Recinto" era il nome che comprendeva tutto il territorio entro le mura. Sul lato Nord-Ovest, all'interno della cinta si trovava questa chiesa, dedicata a S. Nicolò, poi detta dei Battuti ('Bati''). Dietro alla chie­sa e confinante con le mura vi era il cimitero.

Il castello subì un incendio alla fine del 1700 (secondo la testimonianza del De Canis) e a poco a poco tutto andò in rovina. I mattoni e i materiali recuperabili vennero utilizzati per costruire nuove case e nulla rimase a testimoniare tanta possenza.

Unica conservata, questa chiesa. Era già sconsacrata quando nel 1923 venne resa idonea ad accogliere l'Asilo Infantile. Nella prima parte della navata si ricavò il salone per accogliere i bimbi, un muro divideva questo dall'alloggio per le suore, questo era disposto su due piani con scala centrale. Al piano terra una camera e la cucina nell'abside, al primo piano tre camerette.

Il primo presidente dell'asilo fu il proprietario della fornace di Montaldo: Giovanni Battista Binello, che donò i mattoni per il muro del giardino e per la pavimentazione con vespaio per la chiesa. Probabilmente, in questo periodo, venne abbellita anche la facciata secondo il gusto dell'epoca, come la vediamo su alcune cartoline.

La cisterna per l'acqua piovana, che oggi si vede nel corridoio, allora era all'esterno nel giardino che circondava la costruzione. Dal 1936 e per alcu­ni anni, nei mesi estivi, questa era la sede della Colonia Elioterapica, per tutti i bambini del paese. Negli anni 1954-55 fu costruita un' aula adiacente la chiesa col corridoio che coprì la vecchia cisterna (era arrivata l'acqua potabile- costo dei lavori £. 9.000). Nel 1956 si costruì un altro piano sopra l'aula per dare un alloggio più idoneo alle Rev. Suore. Furono acquistati nuovi ban­chi e rifatto l'arredamento.

Durante questi lavori venne abbattuto il frontone decorativo del 1923 e la costruzione ebbe un'unica facciata resa più moderna nella quale ormai quasi nulla restava del ricordo della vecchia chiesa. Nel 1963 le Suore sono state ritirate e l'Asilo chiuso.

Veniamo così ai giorni nostri. Nel 1995 il Comune ha presentato un progetto di recupero dello stabile inserendolo in un percorso comunitario di piccoli musei per la valorizzazione del territo­rio. Il progetto sostenuto dal G.A.L ha avuto un finanziamento dalla Comunità Europea e si è potuto così procedere ai lavori di restauro.

Tolte le sovrastrutture, la semplicità dell'unica nava­ta che costituiva la vecchia chiesa dei 'Batì', si è presentata a noi in tutta la sua bellezza. Nel luglio 2001 è stato così inaugurato questo museo che vuol ripercorrere la vita della famiglia conta­dina attraverso gli abiti: partendo dal matrimonio, il battesimo dei bimbi, la festa, per arrivare alla vita di ogni giorno: gli abiti della fatica e del lavoro, della scuola, la divisa dell'asilo.

Gli attrezzi e gli oggetti di cui il Museo si va arricchendo sono i testimoni della vita di Montaldo agli inizi del' 900 e sono stati tutti donati al Museo, segno che questo è diventato per la popolazione il luogo della memoria storica, il simbolo di quei valori sempre necessari per costruire il futuro.


• Il percorso

La visita a questo museo vuole farci conoscere alcuni aspetti della vita del paese nella prima metà del Ventesimo secolo. Questo viaggio a ritroso lo facciamo soprattutto seguendo la moda. 

Iniziamo con gli abiti del matrimonio: i primi sono di una coppia di benestanti del 1910, gli altri sono di contadini che si sono sposati intorno al 1930. L'abito, con la giacca a "redingote" maschile, è stato tagliato e cucito da una sartoria torinese per i signori del luogo nello stile d'inizio secolo invece l'abito maschile degli anni '30, di foggia più moderna, è stato fatto da un bravo sarto del paese. In quel tempo vi erano molti sarti e sarte, i vestiti erano fatti su misura e, a secondo della bravura del sarto, gli si facevano confezionare abiti da cerimonia o da lavoro, anche perché il sarto meno bravo costava meno.

Notare come gli abiti femminili siano stati tutti accorciati con il cambiar della moda. La sposa più ricca si sposava in abito bianco e le nozze erano celebrate di domenica all'altare maggiore. I poveri usavano l'abito nero, si sposavano nei giorni feriali, all'al­tare laterale della Madonna. Questi vestiti venivano conservati con cura perché dovevano servi­re per tutte le cerimonie importanti della vita. Dal matrimonio in avanti ci si vestiva di scuro ed il nero era il colore predominante.

Il battesimo era un altro momento importante. I bambini venivano battezzati il più presto possi­bile. Avvolti in fasce venivano adagiati nel 'porte-enfants' e portati alla chiesa dalla 'levatrice' (ostetrica) seguita dal papà, dal padrino e dalla madrina. La mamma restava in casa per 40 gior­ni e usciva solo dopo la purificazione; rito religioso ormai scomparso. Tra gli altri abiti "della festa" esposti è di particolare interesse la mantella da donna, in pesante panno nero ricamato, della seconda metà del 1800. Sotto gli abiti vi era abbondanza di camicie e sottovesti. Le pro­messe spose passavano gran tempo, specie nella stagione invernale, a cucire e ricamare il corre­do (Fardél). Prima si indossava la maglia di lana o di cotone felpato per i più poveri, poi la "camicia" senza maniche di tela più o meno grossolana; sopra a questa la sottoveste di lana per l' inver­no, di popeline di cotone per l'estate.

È presentato un bell'esempio di "cotin di sota" di flanella ricamata nel 1800. Le mutande erano lunghe sia per gli uomini che per le donne. Le camicie bianche a manica lunga abbondantemente ricamate erano "giac da noc", giacche da notte. Anche l'uomo portava un lungo camicione da notte e per chi poteva questo camicione era di lino, il tessuto più pregiato. Ricordiamo che a quel tempo l'uomo era sempre considerato superiore alla donna. Passiamo agli accessori esposti: pregevole una sciarpa di seta del 1800. Vari esemplari di quefe o veli da Messa, poi scarpe, borse, guanti.

Da notare come ci fossero accessori per i giorni del lutto. Tra gli oggetti particolari un parasole e un ventaglio ricamato dei 1800, ferri per arricciare i capelli, penne e pennini. Un oggetto che non mancava nelle case era la macchina per cucire.

Dalla festa si passa al lavoro: il lavoro dei campi. Sono esposti aratri, erpici, una macchina da aggiogare ai buoi per la semina, falci e falcetti per il fieno e per il grano, corde per i covoni. La macchina per il solfato di rame, una delle prime pompe da vino, il torchio, damigiane, bottiglio­ni, filtri per il moscato ecc.

Appesi al vecchio attaccapanni gli abiti da lavoro consunti dall'uso. La donna portava sempre il grembiule e il fazzoletto in testa. D'inverno gli uomini portavano la mantellina e le donne si copri­vano con lo scialle di lana.

Da notare uno scialle quadrato con frange del 1850, questo scialle era anche usato per avvolgere i bambini e ripararli meglio dal freddo. Ai piedi zoccoli e zoccolette di cuoio con la suola di legno chiodata e calze di lana.

Tra gli oggetti della casa sono esposti: lumi a petrolio e ad acetilene, macinini e tostacaffè che il più delle volte tostavano l'orzo che era il caffè dei poveri, ferri da stiro. Una stufetta a 3 piastre:, tegami in terracotta o in rame, brunsin per il caffè d'orzo, bricchi smaltati. Solo più tardi arrive­rà l'alluminio. Nel tavolino scolapiatti varie stoviglie. (Ricordiamo che i pavimenti erano di mat­toni e assorbivano l'acqua).

Per lavare, dalle stoviglie alla biancheria, alla persona, vi erano baci­li, bacinelle, mastelli di legno a doghe (garocetta e sebbi) di varie misure, sostituiti poi da quel­li di zinco come i secchi per tirare su l'acqua dal pozzo. Chi possedeva una bicicletta era già for­tunato e per i rari viaggi che spesse volte erano viaggi di emigranti, bastavano borse di tela e vali­gie di cartone.

I bambini andavano all'asilo col grembiulino a quadretti blu e bianco por i maschietti, rosso e bianco per le femminucce. Nel cestino portavano il pranzo: il pane, un uovo, un frutto. Le suore preparavano la minestra per tutti.

Per le passeggiate o le processioni i bimbi indossavano la divisa composta dal grembiulino bianco con colletto e fiocco azzurro, mantella di panno color carta da zucchero e baschetto blu. A scuola si andava a piedi col grembiule nero e il colletto bianco, la cartella era di cartone o di legno e per scrivere si usavano penne, pennini e inchiostro. Anche la maestra doveva indossare il grembiule nero. Abiti e grembiuli neri avevano anche il vantaggio di poter essere lavati più di rade perché si vedeva meno lo sporco (l'acqua era un bene prezioso e veniva usata con parsimonia).

I colletti bianchi, a volte anche i polsini erano staccabili per essere lavati più spesso. I giocattoli erano rari e solo per i più benestanti, ma la fan­tasia era enorme: con poco ci si divertiva molto. Anche il postino aveva la sua bella divisa color carta da zucchero: i pantaloni, la camicia, giacca e cravatta. È in visione la fotocopia del libret­to di lavoro del postino Battista Destefanis datato 1875, quando Montaldo Scarampi era ancora in provincia di Alessandria. Notare la severità delle regole.

La visita si conclude qui. Con la sem­plicità propria del mondo contadino abbiamo voluto aprire una finestra sul nostro passato, perché la memoria di cose e valori serva per il futuro delle nuove generazioni.


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